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La storia tristissima di questa forte donna di nome Idelgarda, sostenuta nelle avversità della vita solo dalla sua estrema fede in Dio e dalle persone care che la circondano; ha dell'inverosimile. L'egoismo del debole marito, ma anche della migliore amica Alberta vengono perdonati e giustificati come parte della imperfezione umana. Lettura scorrevole.
Un romanzo inconsueto, straordinario, dove ogni pagina, e quasi ogni singola frase, sarebbero da trascrivere in un immaginario "quaderno delle citazioni sui fondamenti dell'esistenza umana". Un romanzo serio, analitico e poetico, che richiama la prosa di Dostoevskji. Parla un linguaggio del tutto inconsueto, quello della Fede e di una vita che si confronta quotidianamente con la presenza e la volontà di Dio. Parla di una donna ricca e colta che soffre intensamente, e la sua sofferenza nasce essenzialmente dall'aver messo al mondo un figlio, e con il figlio la potenzialità della sua morte. La ferita esistenziale primaria. Ildegarda (nome significativo, che si richiama alla Santa mistica medievale) si confronta anche con un marito affascinante e debolissimo, che non si sente in grado di accudire al figlio, e li abbandona entrambi, rifacendosi una vita all'estero. Tenta di spiegare tutto, di scusare tutto e tutti. Ildegarda cerca di parare i colpi e di difendere il suo bambino, arrancando a volte molto vicina al baratro della disperazione. Ma provvidenzialmente (mai come in questo caso l'avverbio ha il suo pieno significato), in un luogo magico ed isolato, incontra un uomo in grado di sanare la sua solitudine, di fronteggiare le sue paure, e forse di salvare suo figlio da una nuova tempesta incombente. Il libro è una sorta di percorso verso la luce, che forse può aiutare i lettori a ritrovare un sentiero – non facile, ma limpido - verso una fondata speranza.
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