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Bellissimo libro, bellissima storia.
La zona dell'Alto Adige è oggi guardata da noi "italiani" (c'é un motivo per la presenza delle virgolette) come il paradiso terrestre: luogo ricchissimo, in cui tutto è perfettamente organizzato e tutto funziona benissimo. Ed è visto anche come una terra straniera, popolata da persone che rifiutano il nostro italiano cantilenante ("... l'italiano qui in Sudtirolo era una lingua esotica... se non me l'avessero fatto odiare dal profondo delle viscere era una bella lingua... a leggerla mi sembrava di cantare.") e parlano una lingua aspra: dura e spigolosa come i lineamenti dei volti che vi si incontrano. Ci guardano con diffidenza e gelido distacco. Perchè i Sudtirolesi non vogliono sentirsi italiani?
A nessuno viene in mente che anche la loro storia contiene un una ferita grave che alimenta ancora un dolore rabbioso e profondo. Astutamente strappati alla rimanente popolazione del Nord, sono stati succubi di un'organizzazione straniera che li ha divelti dalle loro vite: proibiti i soliti vestiti, italianizzati i nomi dei luoghi, sostituite le insegne dei negozi, bandito il tedesco ("... sono andati a molestare anche i morti, cambiando le scritte sulle lapidi"), imposto il coprifuoco, estromessi dal mondo del lavoro. Trina racconta: "Da un giorno all'altro in classe ci siamo ritrovati insegnanti veneti, lombardi, siciliani. Loro non ci capivano, noi non capivamo loro... Li riconoscevi subito quei forestieri arrivati dal Sud, con le valige in mano e il naso all'insù... Dal primo momento è stato noi contro loro. La lingua di uno contro quella dell'altro. La prepotenza del poter improvviso e chi rivendica radici di secoli." Sfregio finale per il paese di Curon: la grande diga, quella diga che sembrava dimenticata ma che viene ostinatamente costruita proprio per l'interesse economico di diverse figure (italiane e svizzere), con la collaborazione della politica italiana di allora. Dov'era l'Italia quando le ruspe hanno violentato i pascoli? O quando le case di un paese sono state fatte saltare? O quando l'acqua ha annegato strade, campi, macerie e speranze? Quanti sforzi per cacciare via coloro che si ostinavano a non abbandonare le proprie cose con caparbietà rabbiosa! Solo il campanile è riuscito a resistere: tutt'ora si eleva con orgoglio fuori dal pelo dell'acqua azzurra, silenzioso accusatore. Lui resta lì.
Peccato che i numerosi turisti, che si ammassano adesso sul pontile per fare foto, non sanno questa storia. O cioè se la leggono su qualche tabellone o su Wikipedia e poi se ne vanno, senza cogliere il disperato messaggio del campanile e la sacralità del luogo. Le parole di Marco Balzano, misurate e semplici ma scorrevoli e precise come un bisturi, costruiscono un racconto delicato e forte allo stesso tempo, che parla di sogni e speranze ma anche di tenacia passionale, offrendoci con chiarezza uno spaccato di Storia che pochi conoscono (e che qualcuno vuole resti ignorata? Mah!). Bravo, Marco.
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